martedì 4 ottobre 2011

Napoli milionaria. E celebrativa, sferzante o illuminante?

Il reportage “Napoli milionaria” di Emiliano Fittipaldi (l’Espresso, n° 40 anno LVII – 6 ottobre 2011) che funzione ha? Rilanciare l’immagine della città? Ironizzare sui personaggi intervistati? Mettere in luce i contrasti sociali? Nei commenti di Paolo Macry e Angelo Lomonaco sul Corriere del Mezzogiorno (2 ottobre 2011) l’intento di Fittipaldi è letto come elogiativo. Eppure non sembra proprio così e lo spirito non risulta chiaro. Al confronto, l’articolo di Sara Ficocelli, “Napoli. Bellezza indomita” appariva più limpido e pragmatico.
Se il reportage di Fittipaldi voleva dimostrare che Napoli non è solo degrado, allora certe definizioni tanto circoscritte suonano stridenti con lo scopo, fino a diventare sarcastiche e amare: «L’altra Napoli sta tutta in otto chilometri quadrati», «qualche zona del Vomero basso» (circoscriviamo, circoscriviamo…), «Otto chilometri quadrati dove vive meno di un decimo della popolazione», «Nel “quadrilatero” la qualità della vita è alta».
Se voleva far apparire futili, lontani, irritanti o sprezzanti i protagonisti dell’articolo, allora ci è riuscito: «arricchiti», «rentier», «minuscola borghesia», «le griffe», «i baretti della movida», «i ristoranti più chic a fianco alle pizzerie che riciclano i soldi sporchi», «Qualcuno ha comprato ai figli qualche appartamento con terrazzo agli ultimi piani dei Quartieri Spagnoli, enclave popolare incastonata in mezzo alle strade delle boutique», «Non parliamo dei nobili napoletani come fossero dei rincoglioniti», «La monnezza è arrivata anche qui, la camorra pure» (solidarietà), «La clientela è fatta soprattutto di businessman, la location è splendida» ( “uomini d’affari” e “posto”, N.d.R), «Ci sono garanzie che il resto della città si sogna. Forse perché l’abbiamo difeso bene e non è un caso che qui le case più belle costano oltre 15mila euro al metro quadro», «Quando ho voglia di modernità e del contemporaneo, prendo un aereo e vado nel mio appartamento di Parigi», «guarda la città dall’alto», «Noi che viviamo negli otto chilometri ce la possiamo godere tutta, la bellezza, senza pagare il prezzo altissimo come quelli che vivono in basso», «le feste leggendarie prese d’assalto dalla città che conta».
Se voleva far risaltare le contraddizioni sociali, in parte l’ha fatto, ma forse avrebbe dovuto insistere di più: Napoli assomiglia a Rio de Janeiro, non per la possibilità di andare al mare, ma per la presenza di poverissimi e ricchissimi. Fittipaldi ha in più punti ripetuto che la maggior parte degli abitanti del “quadrilatero” non esce dal perimetro dei suoi otto chilometri. E questo è vero, come la più assurda delle realtà: napoletani cresciuti a Posillipo, a Chiaia, al Vomero che non hanno mai (mai) fatto un giro a Forcella, alla Duchesca, a Ponticelli, per fare solo qualche esempio; che sono ignoranti, in pratica, della loro stessa città. Ciò che Fittipaldi non dice chiaramente è che questo non solo è vero, ma è uno scandalo.
Dopo gli articoli su “Napoli perduta” e “Napoli milionaria”, ci si aspetta, allora, una “Napoli unica, che comunica”. E di conoscere tutto il resto, oltre agli estremi opposti che fanno notizia.

M.L.P.

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