giovedì 8 dicembre 2011

Figli di tante patrie


Alla fiera Più libri più liberi si è tenuto oggi l’incontro Figli di tante patrie. Scrittori di seconde generazioni raccontano. Di seguito alcuni dei concetti più significativi espressi dagli scrittori intervenuti.

Tahar Lamri: L’espressione “seconda generazione” non è tra le più felici: l’immigrazione non si eredita, per cui a rigore non si può parlare di “seconda generazione di migranti”.


Alice Zeniter: L’algéritude è una categoria che un algerino non ha bisogno di dimostrare: l’algéritude è il sogno, il ricamo su un’appartenenza indiretta, proveniente da un genitore algerino.

Per il tipo di contesto economico, c’è una grande differenza tra gli immigrati di ieri e di oggi: un tempo gli immigrati non erano visti come un pericolo, come individui venuti a rubare qualcosa. Quando una persona di seconda generazione osserva il modo in cui vengono respinti gli immigrati oggi, mette in discussione tutta la propria esistenza: e se fosse successo anche ai miei genitori, dove sarei io adesso?


Cristina Ali Farah: La visione di uno scrittore con una doppia appartenenza può essere paragonata a un viaggio in macchina, all’interno della quale ci sono i profumi e le musiche africane e all’esterno della quale scorre il paesaggio europeo.


Shadi Hamadi: A volte gli immigrati vivono in “reggimenti simbolici” (per esempio conoscono perfettamente l’Islam, ma non sanno altro della cultura araba), per cui non vivono appieno né la cultura di origine né quella di arrivo: è uno stato di cose al quale bisogna sottrarsi.

Quest’anno Ciampi si è rivolto ai ragazzi di seconda generazione come ai “promessi sposi d’Italia”: sarebbe bello che questa formula si trasformasse presto in “figli d’Italia”.


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