domenica 5 giugno 2011

O un grande amore o ve ne dovete andare

Roma era la nostra città, ci tollerava e ci blandiva ed anch’io finii per scoprire che nonostante i lavori sporadici, le settimane di fame, le camere d’albergo umide e tenebrose, dai mobili giallicci e scricchiolanti come uccisi ed essiccati da una oscura malattia di fegato, era il solo posto dove potessi vivere. Eppure se ripenso a quegli anni non riesco a mettere a fuoco che pochissimi volti, pochissimi fatti perché Roma ha in sé una ebbrezza particolare che brucia i ricordi. Più che una città è una parte segreta di voi, una belva nascosta. Con lei niente mezze misure, o un grande amore o ve ne dovete andare perché questo la dolce belva richiede, essere amata. Questo è il solo pedaggio che vi verrà imposto da qualunque parte veniate, dalle verdi, inerpicate strade del Sud, dagli altilenanti rettilinei del Nord o dagli abissi dell’anima vostra- Amata, vi si offrirà come voi la desiderate e non dovrete fare altro che lasciarvi andare alle lambenti onde del presente galleggiando ad un palmo dalla vostra legittima felicità. E per voi vi saranno serate estive trafitte di luci, vibranti mattini primaverili, le tovaglie dei caffè come gonne di ragazze agitate dal vento, affilati inverni e interminabili autunni quando essa vi apparirà inerme e malata, spossata, gonfia di foglie decapitate su cui i vostri passi non faranno rumore. E vi saranno le scalinate accecanti, le fontane strepitose, i templi in rovina e il silenzio notturno degli dei spodestati finché il tempo perderà ogni significato che non sia quello puerile di spingere gli orologi. Così anche voi giorno dopo giorno, aspettando, diverrete parte di essa. Così anche voi nutrirete la città. Finché in un giorno di sole, fiutando il vento che viene dal mare e guardando il cielo, scoprirete che non c’è più niente da aspettare.

Gianfranco Calligarich, L’ultima estate in città, Garzanti 1973

***

Roma, è un lungo tramonto.
[…] Tutto pensavo nella vita tranne che dover finire la mia vecchiaia in questo grande catino di città. Che accoglie tutti, democraticamente, con noncuranza e malevolenza. Senza fartene accorgere, però. Come certi colpi astuti nei caveau delle banche attraverso i tombini, Roma ti tende agguati continui e raffinati, ma i colpevoli sono sempre introvabili. Perché sono troppi i colpevoli.

Paolo Sorrentino, Hanno tutti ragione, Feltrinelli 2010

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